Il lavoro delle donne in una ricerca ISFOL

Presso il CNEL si sono tenuti, lo scorso 2 febbraio, gli Stati generali sul lavoro delle donne in Italia. Dall’incontro, che ha visto confrontarsi esponenti delle forze sociali e studiosi, è emerso come sia ancora difficile e lunga la strada per colmare le disparità della presenza femminile nel mondo del lavoro nel nostro Paese. Il gap si alimenta di differenze retributive, inadeguatezza nei servizi e politiche di conciliazione poco conosciute e praticate.
Sono stati presentati i dati di un’indagine ISFOL ( ora nella collana I libri del Fondo sociale europeo dell’ISFOL), condotta su un campione di 6000 donne fra i 25 e i 45 anni d’età, che ha fatto emergere i numerosi fattori – economici, sociali, culturali – alla base dell’inattività femminile in Italia.
Risalta, in particolare, la spiccata asimmetria nella ripartizione dei carichi di lavoro domestico. La giornata lavorativa degli occupati con almeno un figlio – tenendo conto del lavoro retribuito, del lavoro familiare, degli spostamenti da casa al lavoro – è di circa 15 ore. Ma, mentre la maggior parte del tempo dei padri è dedicata al lavoro retribuito, circa 10 ore su 24, il tempo delle madri è diviso tra lavoro familiare, 8 ore e 35 minuti, e lavoro retribuito, 7 ore e 9 minuti. In pratica, la giornata lavorativa delle donne è 45 minuti più lunga di quella degli uomini, le donne dormono circa 10 minuti in meno ed hanno meno tempo da dedicare a sé stesse o al tempo libero.
I modelli culturali che sono all’origine di questa impari divisione del lavoro sono consolidati da una più generale arretratezza dei fattori dello sviluppo.
Ciò riporta al centro il tema della rifondazione delle politiche di welfare, anche nel senso delle politiche di genere.

La questione ha in Italia un’importanza notevole: il differenziale nel tasso di attività tra uomini e donne è da noi di ben venti punti, uno dei maggiori d’Europa, con un’ occupazione maschile intorno 69% e una femminile inferiore al 50%. E’ evidente come il principale problema della disoccupazione italiana sia la mancata partecipazione delle donne, soprattutto meridionali, al mercato del lavoro. Il differenziale è il peggiore in Europa, maggiore di quello di Grecia, Irlanda e Spagna, e richiede politiche mirate e in grado di intervenire anche sugli aspetti che riguardano i comportamenti e le scelte delle imprese.
Secondo la ricerca ISFOL l’attività delle donne è fortemente condizionato dai problemi familiari. In caso di figli, il tasso di disoccupazione in questo caso passa dal 3,8 per cento al 9,1, una crescita che non si riscontra invece per i padri.
Più del trenta per cento delle donne inattive, che non cercano più lavoro, lo è per necessità. La motivazione principale è la scelta di seguire meglio i figli, ma incidono anche le difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia e quelle di trovare un impiego. L’inattività dovuta ad un percorso di studio o specializzazione è molto più ridotta, e questo rafforza il dato secondo cui le donne diplomate e laureate lavorano di più rispetto alle donne sprovviste di titolo di studio. In generale, un basso livello di scolarizzazione induce il mercato a non riconoscere alle donne un salario tale da sostituire i costi del lavoro domestico e di cura.
Nel nostro Paese è quindi presente una fascia di inattività consolidata, in cui motivi culturali affiancano quelli economici o quelli derivanti dalla crisi.
Modelli tradizionali di divisione del lavoro tendono a generare un equilibrio di economia familiare che disincentiva l’occupazione femminile. Nei nuclei la cui l’organizzazione interna non prevede l’autonomia professionale della donna è più probabile che si riproducano condizioni di inattività.
È tuttavia possibile identificare segmenti di donne inattive in grado di entrare nel mercato del lavoro. Tra gli interventi che possono favorire l’inserimento vi sono la flessibilità oraria, la disponibilità di servizi alle famiglie, una maggiore condivisione del lavoro domestico.