For.Te., nel momento in cui ha deciso di effettuare la Ricerca sul ruolo e l’evoluzione dei Fondi, affidata al Prof. Tiraboschi, aveva uno scopo, che crediamo sia stato raggiunto: offrire tracce, suggerimenti, spunti per il nostro lavoro, in una fase molto delicata, che è di svolta e di apertura verso traguardi più alti.
Abbiamo superato in questi anni molti ostacoli , legati alla fase di avvio ed alle difficoltà della crisi che attraversa il paese dal 2009 e ancora perdura. Nonostante tutto, il Fondo è cresciuto con andamento costante, conquistando posizioni più che buone. Siamo ora a un passaggio cruciale, quello del consolidamento, dello sviluppo stabile, che deve essere quantitativo e qualitativo insieme.
Potremmo dire che i numeri ci danno ragione; centinaia di migliaia di aziende hanno aderito ai Fondi e con esse oltre sette milioni di lavoratori, più del 60% della platea potenziale. For.te. è, dal canto suo, un riferimento saldo per oltre 130mila aziende e 1,3 milione di addetti, non solo del settore terziario ma anche di tanti altri settori economici.
Il nostro è il Fondo più vario e rappresentativo della molteplice realtà produttiva italiana; quello che ne rispecchia con maggiore fedeltà le caratteristiche, i pregi (una grande vitalità e capacità di adattamento) e anche i problemi (la frammentarietà, una certa fragilità strutturale). Siamo riusciti a parlare a molti con un linguaggio comprensibile e amichevole; ciò è per noi motivo di soddisfazione e di ulteriore spinta in avanti.
Le prospettive sono ampie e gli obiettivi da conseguire sono ambiziosi, partendo dalla programmazione elaborata dalle Parti sociali che hanno provveduto in maniera fattiva a fare proselitismo. Siamo, del resto, fortemente convinti che si può fare ancora di più e che, con attività propedeutiche mirate e costanti, risultati migliori sono alla nostra portata.
Sappiamo che dovremo sostenere sforzi impegnativi per raggiungere chi manca all’appello, per convincerlo che l’adesione ai Fondi non è un costo, non è una perdita di tempo. E’ semmai un guadagno sostanziale, un valore aggiunto certo, un investimento che col tempo aumenta i suoi benefici; una scommessa vincente.
Come richiama il nuovo Governatore della Banca d’Italia, sulla formazione dei giovani si giocheranno le sorti della ripresa del nostro Paese, del suo progresso economico e civile, che è fatto di benessere materiale e di inclusione sociale.
Noi aggiungiamo che la leva più efficace del rilancio è la formazione di tutti, lungo tutto l’arco della vita; dei lavoratori occupati, di quanti a vario titolo entrano a contatto col lavoro, di quanti rischiano di perderlo, di quanti ne rimangono ai margini. Una formazione come diritto individuale, è stato detto, che sia parte integrante della dote professionale di ciascuno, lavoratore e cittadino, e lo accompagni lungo il cammino della vita attiva. Ma anche un “nuovo modo di fare formazione”, che non ripeta gli errori del passato e sia in grado di cambiare metodi, finalità, utilizzo delle risorse.
Meno sprechi, per cominciare, maggiore coordinamento fra i soggetti pubblici e privati deputati. Ci teniamo a ribadire che consideriamo i Fondi organismi privati, a tutti gli effetti. Privati e bilaterali, espressione di forze sociali ben consapevoli del loro ruolo, del loro mandato e delle responsabilità che ne derivano. Ci sentiamo impegnati a fare ogni giorno il nostro dovere, gestendo al meglio le risorse economiche di cui disponiamo. Da questo punto di vista credo che For.Te. sia da portare ad esempio, per il volume di finanziamenti che ha mobilitato e il numero di lavoratori che ha coinvolto. Continueremo su questa strada.
Nello stesso tempo, non ci stancheremo di cercare ogni sinergia possibile con i soggetti istituzionali, perché gli effetti della formazione ricadano sui territori e riguardino anche le figure lavorative che sono tagliate fuori dai nostri interventi.
L’Accordo con la Regione Emilia Romagna del febbraio 2011 va in questa direzione, ed è per noi un punto di partenza importante. Vogliamo agire all’interno di un “sistema nazionale della formazione continua”, come recita la norma istitutiva dei Fondi, che comprenda le Regioni. Con esse vanno strette intese che rispettino le prerogative e gli ambiti di ogni soggetto, senza interferenze e confusioni, e coordinino iniziative e provvedimenti in vista di obiettivi concertati.
Ciò è tanto più vitale in quanto ci aspetta un periodo in cui i finanziamenti europei e italiani si ridurranno, se addirittura non verranno meno. Non ci possiamo permettere duplicazioni di interventi (facendo piovere sempre sul bagnato) né tantomeno distrazioni verso categorie, settori e aree che patiscono condizioni di sofferenza, o di relativo abbandono, nell’accesso alla formazione. I dati sono noti a tutti: parliamo di donne, Mezzogiorno, basse qualifiche, piccole imprese.
Si tratta di soddisfare fabbisogni trascurati e spesso non espliciti, che occorre fare uscire allo scoperto individuando le azioni formative coerenti. Qui la funzione di stimolo, di sostegno, di integrazione che può svolgere la rete della bilateralità è fondamentale. Importante è il supporto di conoscenza, promozione e cooperazione che può venire dalle forze sociali presenti a livello locale e dalle strutture bilaterali costituite. Per il terziario del Commercio, del Turismo e dei Servizi la bilateralità è un patrimonio che va messo a frutto, ma il discorso vale per tutti i settori rappresentati dalle forze sociali che hanno dato vita ai Fondi interprofessionali.
La bilateralità può agire su un doppio versante: di orientamento, raccolta, qualificazione della domanda e di evoluzione della offerta; di appoggio e di presidio territoriale, di assistenza tecnica e di legittimazione sociale.
La bilateralità è utile anche a inserire gli interventi formativi nel contesto delle politiche del lavoro, legando sostengo al reddito e recupero occupazionale (reinserimento, mobilità verso nuovi lavori, ecc.) e “mettendo al centro la persona e i suoi progetti di vita”, in un mercato del lavoro che sia sempre più basato sulle capacità professionali e sull’occupabilità. In questo senso bilateralità equivale a sussidiarietà e si pone come rafforzamento e integrazione dell’intervento pubblico in una condizione di scambio e di reciprocità alla pari.
Le esperienze di bilateralità cominciano a essere significative. Laddove esiste ed è operativa, la rete della bilateralità vede aumentare la sua incidenza e opportuna è stata la scelta di For.Te. di riconoscere un punteggio premiale ai Piani che si avvalgono dell’assistenza degli Enti bilaterali. In realtà, il ruolo della bilateralità può e deve essere esteso a tutte le fasi dell’attività formativa; dall’analisi dei fabbisogni professionali e formativi, alla individuazione periodica delle competenze critiche e dei profili professionali innovativi, alla fissazione di standard qualitativi di prodotto e di processo, all’elaborazione dei contenuti didattici, alla validazione ed al riconoscimento degli esiti finali.
Alcune di queste strade, in larga parte da percorrere, sono indicate dalle Linee guida e riprese dalla Ricerca. Prendiamo le indagini sui fabbisogni. In Italia ne abbiamo condotte a centinaia, troppe, tutte finite nel dimenticatoio: è il caso di aggiornarle, metterle assieme e farle dialogare tra di loro. Circa la definizione degli standard professionali, anche qui non siamo all’anno zero. Abbiamo numerosi tentativi alle spalle: prendiamo ciò che di buono hanno portato e diamo finalmente la parola ai diretti interessati, a chi coi luoghi di lavoro e i contratti ha pratica quotidiana.
La Ricerca dà suggestioni valide, che le esperienze maturate grazie alla bilateralità e alle forze sociali rafforzano. Suggestioni ed esperienze debbono andare nel senso di una formazione che sia orientata sulla domanda, innovativa nei metodi e nelle verifiche, efficace per i lavoratori e le imprese, convalidata e riconosciuta. Una formazione che muova dalle esigenze vere dei destinatari; sia basata sulle competenze (meno aule e più vicinanza con il lavoro reale) e su profili professionali condivisi; sia certificabile.
Nessuno pretende di sostituirsi alle Regioni, ma è chiaro che il clima di immobilità e di inutile attesa che viviamo non giova a nessuno. Specie in un’Europa che da tempo ci invita, anzi ci minaccia, a fare presto.
Di Libretto Formativo, che attesti competenze e crediti acquisiti e li certifichi, si discute da quasi un decennio senza essere venuti a capo di nulla, o quasi. Alcune Regioni ci stanno provando; sarebbe auspicabile proporre un nostro modello, proprio avvalendoci di ciò che le Regioni hanno prodotto. Daremmo così valore alla formazione che finanziamo, da un lato; dall’altro, getteremmo un sasso nello stagno, scuotendo dal torpore i soggetti competenti (Regioni e Stato) e incalzandoli. Il mercato del lavoro e il sistema produttivo hanno bisogno di chiarezza, di trasparenza, di comunicazione; queste passano da una formazione che sia esigibile e riconoscibile dagli attori in gioco.
Il Libretto Formativo non è un pezzo di carta. Presuppone percorsi formativi ineccepibili, strutturati secondo criteri rigorosi, erogati da soggetti accreditati e da formatori in possesso di requisiti specifici, vagliati e qualificati anche con l’assistenza di For.Te.
Come ci esorta la Ricerca, non vogliamo essere semplici intermediari di formazione, ma protagonisti del suo rinnovamento, di un suo salto di qualità che riteniamo necessario e urgente e senza il quale il Paese non esce dalla crisi.
Con una formazione rinnovata, nelle sue ragioni e nelle sue ambizioni, il Paese ed i lavoratori hanno più opportunità, più forza, più avvenire.
Con l’aiuto di tutti possiamo riuscire in questa sfida.