La Relazione annuale della Banca d’Italia ha messo in rilievo anche la situazione del lavoro irregolare. Con la crisi è ripreso in questi anni il lavoro nero, anche per un generale effetto di “trascinamento” che ha peggiorato le posizioni lavorative più deboli e meno tutelate. In verità, secondo i ricercatori, la quota di lavoratori irregolari è rimasta la stessa, ma risulta aumentata in percentuale perché nel frattempo è calata la quota di lavoratori regolari. Resta il fatto che l’Italia difficilmente può uscire dalla crisi se non affronta il problema della consistente quota di economia e lavoro sommersi, che non può determinare reali fattori di crescita e che sembra sfuggire ad ogni possibile intervento a favore dell’occupazione e delll’attività di impresa.
Secondo la Banca d’Italia i lavoratori irregolari in Italia sono circa tre milioni, un numero di poco superiore a quello dei disoccupati. La presenza di lavoro sommerso e irregolare, per due terzi, si registra nei servizi, con una particolare incidenza nel commercio, negli alberghi e nei ristoranti: corrisponde al 18 per cento delle persone che operano nel comparto, pari a oltre un milione. Il dato è superiore se si considerano le unità di lavoro, essendo frequenti casi di “doppio lavoro” in nero di persone regolarmente assunte.
Allarmante è la composizione strutturale dell’occupazione agricola, dove risulta irregolare il 37 per cento delle persone, più di una su tre.
Nell’industria il fenomeno appare meno grave (6,6 per cento) ed è diffuso soprattutto in edilizia (11,3 per cento). Colpisce in generale i lavoratori dipendenti, 13 per cento, più che gli indipendenti, 10 per cento. Nonostante i provvedimenti presi dai diversi governi, la galassia del lavoro nero, dalla semplice irregolarità al sommerso totale, resta una piaga endemica del nostro Paese che la crisi rende ancora più difficile da debellare.