Dobbiamo produrre di più, produrre meglio e con maggiore innovazione : questo monito, lanciato anche dal governatore della Banca d’Italia , è confermato dalla analisi dell’evoluzione, nel nostro Paese, del rapporto tra offerta e domanda di competenze. La minore capacità di promozione e assorbimento delle competenze medio alte mostra tutte le difficoltà di un’economia che non cresce perché non innova e, proprio per questo, non premia adeguatamente le competenze migliori.
Da tutti gli osservatori emerge come il bagaglio delle conoscenze, dei saperi, delle competenze sia un fattore economico di grande rilievo: questi anni confermano la centralità del “paradigma del capitale umano”. Tuttavia l’approccio al capitale umano deve considerare la sua natura molteplice, che riguarda competenze, esperienze, carattere, attitudini ed elasticità. La rilevazione del titolo di studio o del profilo delle competenze è importante, ma non esaurisce e non spiega tutto il “ capitale “ che ogni persona possiede o può possedere. Misurare il rendimento delle competenze non è semplice, ma è evidente come in Italia il tessuto produttivo, con una forte prevalenza di microattività e un manifatturiero con basso apporto di capitale umano, non sempre mostra giusta propensione all’innovazione tecnologica ed organizzativa. Questo porta ad un mercato del lavoro in cui il “ rendimento delle competenze” è poco dinamico e premia lavoratori ed imprese meno di quanto accade nei paesi europei competitori. Gli studi sul mismatch italiano delle competenze fanno vedere le conseguenze di questi ritardi, come il sottoinquadramento o la riduzione del vantaggio retributivo per chi ha un maggiore livello di scolarizzazione.
C’è in Italia una tendenza insufficiente a far coincidere professioni a elevata specializzazione con elevati livelli di istruzione. Questo non impedisce due fenomeni coincidenti : con l’aumento del titolo di studio diminuiscono il rischio di disoccupazione e anche la differenza di genere tra uomini e donne nell’accesso alle opportunità. Anche nel Mezzogiorno, durante gli anni di crisi, a fronte di un forte aumento di disoccupati non scolarizzati, sono cresciuti gli occupati laureati. Il discorso riguarda anche i disoccupati di lunga durata, in forte aumento nel biennio. La disoccupazione di lunga durata aumenta sensibilmente con la diminuzione del titolo di studio.