Secondo l’Istat, il fermo dell’economia italiana dal 2008 in poi segue a un rallentamento progressivo cha data da almeno un ventennio. Si è trattato di una “perdita degli anticorpi” propri della nostra competitività che ha riguardato autonomia professionale, capacità d’agire, qualità e quantità del lavoro, produttività. Per gli analisti dell’Istat, se persiste il freno allo sviluppo occupazionale, che costituisce ancora la principale leva italiana per la produttività, il rischio per la crescita è notevole. E’ però evidente che il nostro è soprattutto un ritardo di efficienza complessiva dei fattori produttivi, dentro e fuori l’azienda.
E’ mancato il salto di qualità nell’innovazione. Tra i paesi europei l’Italia è quello che ha tratto meno vantaggio dalla rivoluzione informatica degli anni novanta. Abbiamo comprato i computer ed attivato internet , ma abbiamo continuato a lavorare come prima. Nel terziario e in molte aree del paese l’informatizzazione dei servizi è ancora inadeguata. L’Italia è svantaggiata anche per un dimensionamento aziendale molto basso. Sembra abbastanza provato che un tessuto produttivo molto parcellizzato e un numero di microimprese nettamente superiore alla media europea non abbiano favorito né i processi di innovazione né la capacità produttiva.
La difficoltà della microimpresa nel competere in innovazione ed in qualità riguarda soprattutto il manifatturiero. Peraltro l’Italia è specializzata in alcuni ambiti del manifatturiero tradizionale, in cui la produttività è più bassa. Inoltre le grandi imprese italiane, al contrario di quelle tedesche e francesi, hanno perso terreno nei settori dove più forte è l’investimento in ricerca. La tenuta in produttività ed innovazione si deve, secondo l’Istat, all’area delle medie imprese. Rispondono alla sfida le imprese che si sono poste decisamente sui mercati internazionali e che esportano, mentre vanno male quelle condizionate dal mercato interno, come il mobile o la carta, che devono fronteggiare in casa la concorrenza di nuove aziende internazionali.
Rispetto alle cause del ritardo, l’Istat punta il dito su fattori come la sottocapitalizzazione, l’evasione, il sommerso, il livello del capitale umano. Secondo la maggior parte delle forze economiche e sociali i dati sulla produttività e sul PIL confermano la necessità di misure concertate e ad ampio respiro (fiscali, incentivi, promozione del capitale umano, investimenti infrastrutturali), con una costante attenzione all’efficienza complessiva del processo produttivo.